La tesi di Massimiliano Zucchi: osteopatia nel disturbo d’ansia generalizzato

Questa è una tesi molto interessante: tratta dell’osteopatia in pazienti con ansia!

Dopo l’intervista a Gianluca Viviani in merito alla sua esperienza con pazienti con sclerosi multipla, gustiamoci l’intervista al collega Massimiliano Zucchi che ha sviluppato un’ottima tesi sperimentale che ha studiato l’impatto osteopatico in pazienti con disturbo d’ansia generalizzato (d’ora in avanti indicato con l’acronimo GAD).

 

Ciao Massimiliano, perché una tesi nell’ambito del disturbo d’ansia
generalizzato?

Ciao Giandomenico, innanzitutto ti ringrazio infinitamente per aver accolto il mio lavoro nel tuo progetto. Il mio intento è stato quello di risaltare il più possibile quello che è il fattore relazionale su cui si fonda l’osteopatia, il principio secondo cui nessuna componente anatomo-fisiologica umana possa alterare la propria funzione senza discernere da un adattamento ed un compenso dei sistemi ad esso connessi.La scarsa presenza di studi in letteratura che accomunino l’osteopatia a questa problematica, ha rappresentato per me una sfida che mi ha spinto verso la realizzazione di questo studio sperimentale. Il vertiginoso aumento dei ritmi a cui ci ha sottoposto il sistema societario odierno in cui viviamo, associato ad un sensibile incremento dei disturbi cognitivi e psichiatrici rende sempre più fondamentale promuovere la ricerca in questo ambito. Il poter sensibilizzare l’argomento per far prendere consapevolezza di quelli che sono i meccanismi che comportano determinate sintomatologie e il tipo di percorso terapeutico multidisciplinare da intraprendere deve avere come obiettivo il dare la possibilità ad un numero sempre maggiore di persone di migliorare la qualità della propria vita a 360°. Ovviamente, come tutte le cose eseguite con determinazione e passione, anche questo studio racchiude una componente personale che mi ha spinto ad approfondire questo argomento.

 

Fig. 1 – Tecnica di mobilizzazione viscerale colica utilizzata durante lo svolgimento del trattamento osteopatico

 

Ci fai una sintesi del tuo progetto di tesi?

L’obiettivo dello studio è stato valutare i cambiamenti e benefici provocati dal Trattamento Manipolativo Osteopatico (OMT) in pazienti affetti da GAD, nel miglioramento della principale manifestazione sintomatologica riferita della malattia e della qualità della vita del paziente. Lo studio Open Label è stato svolto in studio privato da novembre 2019 a marzo 2020. Sono stati reclutati soggetti di entrambi i sessi di età superiore ai 18 anni, con diagnosi di GAD. Sono stati esclusi soggetti presentanti altri disturbi neuro-psichiatrici primari. I pazienti selezionati hanno ricevuto un ciclo di 5 OMT a distanza di 2 settimane l’uno dall’altro, con metodologia black-box. In contemporanea allo studio, i partecipanti hanno mantenuto le terapie convenzionali già praticate. A tutti i pazienti è stato fornito un questionario sulla qualità della vita (SF-36), una scala del dolore (NRS) e una scala valutante i sintomi dell’ansia (HAM-A). Le valutazioni sono state eseguite al T0 (primo trattamento), al T1 (termine dei 5 trattamenti) e Follow-Up (un mese da T1).  Il mio razionale di trattamento si è basato sulla valutazione e ricerca con conseguente e manipolazione delle disfunzioni somatiche delle strutture coinvolgenti le regioni di passaggio fisiopatologia del GAD a livello cranico, vertebrale, sacrale e del passaggio delle componenti neurologiche implicate, nel miglioramento della gestione delle strutture coinvolgenti l’informazione afferente nocicettiva ed efferente somatica e viscerale. È stato inoltre eseguita una manipolazione riferita alla principale sintomatologia somato-viscerale, nell’obiettivo di stimolare come conseguenza diretta la diminuzione della produzione delle citochine pro-infiammatorie (sistema muscolo-scheletrico) e l’incremento della produzione di serotonina (sistema enterico) (fig 1, fig 2).

 

Fig 2. – Alcuni “protagonisti” implicati nel GAD.

 

Quali sono stati i risultati?

Dei 21 pazienti inclusi nello studio, 3 sono stati classificati drop-out per abbandono dello studio per motivi personali. Dai risultati è stato possibile notare un andamento piuttosto simile in tutti e 3 gli outcome.
Nell’outcome SF-36 l’analisi statistica dei risultati ha evidenziato un netto miglioramento dei valori medi, con significatività statistica per quanto riguarda tutti i domini, sia attinenti la componente fisica che la componente mentale, al tempo T1. Tale miglioramento non è stato rilevato però al Follow Up, determinato da una notevole diminuzione dei risultati ottenuti al tempo precedente su tutti i domini, ad eccezione del parametro Dolore Fisico presentante al contrario un modesto miglioramento e del parametro Salute Generale, subente solo una lieve diminuzione dei valori medi. Inoltre al Follow Up è stata riconosciuta una significatività statistica solamente per il dominio Dolore Fisico per la componente fisica, per i domini RE (limitazioni dovute allo stato emotivo) e Salute Mentale per la componente mentale e per il dominio Salute Generale (fig. 2).
L’outcome NRS ha evidenziato un ottimo miglioramento nei valori medi sulla scala del dolore al tempo T1, con un’importante significatività statistica. Significatività statistica presente anche al Follow Up che ha mostrato un superficiale aggravamento nella percezione del dolore, rimanendo però circoscritto intorno ai valori evidenziati al tempo T1 (fig. 3).
L’analisi della HAM-A, ha riscontrato una rilevante significatività statistica sia al tempo T1 che al Follow Up. Tale significatività ha mostrato al T1 una sostanziale diminuzione della frequenza dei soggetti presentanti una problematica d’ansia di intensità Moderata e Grave, riducendo entrambi i parametri per meno della metà della frequenza presente al T0. Di conseguenza è stato riscontrato un rilevante aumento al T1 della frequenza dei soggetti presentanti una problematica di intensità Lieve, conseguente alla diminuzione degli altri parametri precedentemente descritti. Al Follow Up è stato notato un considerevole aumento della frequenza dei soggetti presentanti una problematica di intensità Moderata e Grave, con una conseguente diminuzione del parametro di intensità Lieve, avvicinandosi nuovamente così ai valori osservati al T0, in particolar modo per il criterio d’ansia Moderata.  (fig. 4).
Questo risultato positivo è sembrato però essere reso possibile solamente in virtù della continuità cadenzata e permanente del percorso osteopatico, da non interrompere, se non altro, dopo il numero di sessioni previste dallo studio. Tale riflessione è supportata dalla graduale diminuzione dei miglioramenti notata una volta terminati i 5 trattamenti osteopatici.
I risultati dello studio hanno subito una considerevole influenza nel Follow Up, riferita in primo luogo dai pazienti stessi, dall’insorgenza della pandemia globale. Tale aspetto ha quindi contribuito a condizionare negativamente tutti gli aspetti della salute correlati all’ambito bio-psico-sociale.

 

Fig. 2 – Risultati SF-36
Fig. 3 – Risultati NRS.

Fig. 4 – Risultati HAM-A.

Se qualche collega avesse voglia di leggere la tua tesi come può fare?

Come professionista e appassionato di ricerca scientifica sono totalmente disponibile a garantire la condivisione del mio progetto. Penso sia fondamentale analizzare con i colleghi la mia esperienza, non solo a fine divulgativo, ma anche comparativo. Sono fortemente convinto che il vero modo per poter crescere personalmente e professionalmente sia confrontarsi in continuazione con la moltitudine di pensieri ed opinioni differenti che caratterizzano la figura dell’osteopata e di qualsiasi altro professionista sanitario. Chiunque volesse leggere il mio progetto nella sua interezza può mandarmi una mail all’indirizzo maxzucchiosteopata@gmail.com. Ho intenzione a breve di creare un mio sito internet professionale in cui inserire il mio elaborato per renderlo totalmente disponibile e poter divulgare anche altri studi presenti nella letteratura. Mi rendo inoltre totalmente disponibile anche per colleghi, professionisti sanitari e studenti che avessero voglia di confrontarsi anche per discutere di qualsiasi aspetto osteopatico e terapeutico, sia operativo che teorico, presente nella letteratura scientifica, tramite call in remoto, al fine di ampliare reciprocamente i punti di vista.

 

 

Sono curioso di sapere com’è stata l’interazione con le altre figure professionali…

L’interazione con le altre figure professionali è stata fondamentale. Una problematica multifattoriale richiede un approccio multifattoriale e il GAD rispecchia perfettamente questo aspetto. Innanzitutto non è stato semplice trovare dei Dottori (di qualsiasi specializzazione) disposti a partecipare e collaborare a questo progetto. Ho davvero inoltrato tantissime richieste, centinaia e ti assicuro che non sto esagerando. Questo è ovviamente il riflesso di quella che è tutt’ora la considerazione della gestione del GAD rispetto agli approcci terapeutici Gold Standard. Ho avuto la fortuna di ricevere il supporto immediato, appena contattati, del Dott. Tetti e della Dott.ssa De Andrea, a cui sono estremamente grato e che si sono detti subito entusiasti di partecipare allo studio. La maggior parte dei pazienti partecipanti è stata inviata da loro, dopo un’attenta selezione effettuata dai Dottori stessi nel rispetto dei criteri di inclusione. L’approccio nella gestione dei pazienti tra professionisti è stato quello più semplice ma anche più efficace di tutti, la comunicazione! Il costante confronto sin dall’inizio del percorso da effettuare con un paziente rispetto all’analisi effettuata ha permesso ai vari professionisti di approcciare il caso clinico in una modalità sempre differente, tenendo conto dei consigli reciproci e soprattutto garantendo un bagaglio esperienziale sempre maggiore grazie alle differenti visioni della salute che ogni professionista mette a disposizione a quello che io chiamo a tutti gli effetti il “Team Terapeutico”. Questa è una formula di approccio terapeutico che non ho mai smesso di ricercare. Tutt’ora lavoro sempre a stretto contatto con professionisti Medici e Sanitari con cui collaborare e che siano disposti ad approcciare il paziente a 360°, garantendo il più possibile il successo terapeutico. La prima cosa che bisogna imparare quando lavori con i pazienti è che la disciplina che pratichi non può essere considerata universale su ogni problematica che ti si presenta davanti, ma deve essere parte integrante di un sistema che approcci la salute dell’individuo nella sua completezza. Essendo anche un Chinesiologo e collaborando molto spesso con queste figure professionali su molti casi clinici, mi sarebbe piaciuto molto analizzare ulteriori miglioramenti rispetto al GAD anche attraverso l’esercizio fisico e rieducativo posturale, da associare all’OMT e alla psicologia. Magari questa idea potrebbe essere uno spunto di riflessione per una prossima tesi sperimentale, chi lo sa, io lo spero!

 

Fig. 5 – Tecnica effettuata in ambito craniale (Art. Petro-Giugulare) utilizzata durante lo svolgimento del trattamento osteopatico.

E l’interazione con i pazienti? Immagino non sia stata semplicissima…

Immagini molto bene. L’interazione con il paziente ha rappresentato la chiave di volta che ha caratterizzato la differenziazione nella gestione dei pazienti con questa problematica. La cosa interessante notata subito è stata un’iniziale estraniazione del paziente alla problematica. Nonostante i pazienti mi fossero stato inviati e fossero stati informati in gran parte dagli Psicoterapeuti, la prima reazione istintiva di alcuni di essi è stata di tipo difensivo alla mia anamnesi. Elemento assolutamente giustificabile, dato la “nuova” esperienza terapeutica proposta e quella che era ancora una profonda non conoscenza dell’utilità dell’osteopatia per il GAD. La cosa fondamentale è stata il non instaurare assolutamente una gestione standardizzata dell’individuo, bensì adattarsi all’esigenza e alle caratteristiche emotive e comportamentali del paziente. Ciò è stato reso possibile non solo per quanto concerne il tempo passato in studio, ma anche attraverso una costante comunicazione realizzata al di fuori della seduta. Come dico sempre, l’aspetto terapeutico del nostro lavoro non deve cessare una volta che il paziente esce dallo studio, ma deve continuare nella quotidianità del percorso intrapreso. Importante è stato anche la gestione degli elementi che io definisco “complementari” al lavoro osteopatico. Per esempio la gestione della temperatura in studio, il confronto costante rispetto agli stimoli indotti dagli esercizi da effettuare a domicilio, molto spesso anche il luogo in cui effettuare il trattamento. Talvolta è risultato necessario, in accordo con il Dott. Tetti e la Dott. De Andrea, effettuare i trattamenti con alcuni pazienti direttamente nel loro studio e non nello studio di cui disponevo, al fine di coinvolgerli nel percorso in un ambiente a loro familiare e non destabilizzante. In qualche caso ho dovuto, su specifica richiesta del paziente, effettuare le sedute direttamente a domicilio, non per impedimenti logistici del paziente, cosa che succede spesso nel nostro lavoro, ma per vincolante esigenza personale dettata dalla problematica trattata.

 

Come gestivi in particolare la componente verbale? Spesso i pazienti ansiosi, almeno questa è la mia esperienza, hanno bisogno di parlare. Sono un fiume in piena e spesso faccio fatica (e un po’ mi dispiace) nel chiedere di fare silenzio affinché io possa concentrarmi. Come hai gestito questo aspetto?

In realtà per me questo fattore ha agevolato molto quello che è il mio consueto metodo per gestire le sedute. Condivido pienamente la continua necessità dei pazienti nel parlare e dialogare durante la seduta. Mi sono accorto però che quest’esigenza nasce principalmente, oltre che da un indispensabile bisogno reciproco di condivisione empatica, da una poca consapevolezza pratica e teorica di quello che comporta il GAD. Pochi dei pazienti che ho trattato erano pienamente a conoscenza di ciò che è implicato nel processo fisiopatologico del GAD (fig 6). È stato mio principale dovere innanzitutto essere il più esaustivo possibile per quanto riguarda la piena presa di coscienza dei meccanismi che vengono implicati nel disturbo e le conseguenze che ne derivano, acutizzando nel paziente sempre più il ragionamento da effettuare pensando alla relazione tra funzioni e sistemi connessi tra loro.
Non semplice è stato anche il rendere i pazienti totalmente attivi e partecipi al progetto. Il continuo dubbio rispetto all’efficacia dell’approccio osteopatico corrispondeva ad una necessaria conferma richiesta dal paziente rispetto al beneficio apportato dal trattamento. Questo atteggiamento è naturalmente giustificabile da quella che può rappresentare una novità dal punto di vista terapeutico rispetto al GAD. Questo è uno dei tanti motivi per cui noi osteopati dobbiamo sempre più farci carico dell’aspetto comunicativo e informativo nei confronti di tutte le problematiche di nostra competenza. E attraverso la componente verbale l’obiettivo è stato stimolare continuamente nel paziente l’ascolto verso il proprio corpo e verso il suo funzionamento e l’imparare quotidianamente a prestare attenzione ai cambiamenti e benefici che si vivono a seguito del lavoro svolto con me. Saper utilizzare continuamente domande semplici ma specifiche come per esempio “Riesce a sentire il rilascio del tessuto che stiamo trattando e che sta avviene sotto le mie mani?” oppure “Riesce a sentire la differenza nella densità e nella risposta tra questi due tessuti?” oppure “che sensazioni le dà rispetto alla struttura controlaterale?” è stata una metodica essenziale per espletare questo meccanismo al meglio.
Se già normalmente sono pochi i pazienti che si presentano da noi con piena consapevolezza del proprio corpo, è normale vedere queste situazioni amplificate nel GAD, dove spesso avviene una vera e propria dissociazione tra stato cognitivo e fisico, considerando ipoteticamente impossibile una relazione stretta tra disturbo e sintomatologia associata. Condivido la tua visione del paziente ansioso come un individuo bisognoso di parlare, ma quello che bisogna fare secondo la mia esperienza è trasformare questo fattore, che molto spesso può essere limitante, in un punto di forza, creando un rapporto empatico con l’interlocutore basato sulla conoscenza reciproca e su una forte manifestazione empatica. Come già detto in precedenza, effettuare questo studio è stato fondamentale per me per instaurare e rafforzare l’approccio che utilizzo tutt’oggi come professionista, ovvero la ricerca continua della comunicazione e del dialogo con la persona che si affida a me. L’abitudine e la necessità mi ha portato a specializzare la mia attività da osteopata proprio ricercando la concentrazione rivolta all’analisi e al lavoro manipolativo svolto sul paziente anche attraverso il continuo colloquio che deve essere presente da quando il paziente entra a quando esce dallo studio. Questo metodo richiede uno stato sempre attivo e concentrato del paziente, cognitivo e corporeo. E i risultati, non solo per i pazienti con GAD, non si sono fatti attendere!

 

Fig. 6 – “Circuito di Amplificazione avversivo” autoalimentato e basi fisiopatologiche del GAD.

Sicuramente aver fatto questa tesi ti dà un vero e proprio vantaggio competitivo sul mercato, in quanto vi è un sensibile aumento del disturbo d’ansia che, sto notando, comincia a essere uno specifico motivo di consulto primario nei nostri studi. Certamente la pandemia non ha aiutato. Per questi pazienti trovare un professionista che ha sviluppato competenze in questo ambito è certamente rassicurante. Che cosa hai imparato da un punto di vista osteopatico e non osteopatico e cosa potresti suggerire agli altri osteopati?

Sicuramente il fatto di apprendere già da subito quanto possa essere difficile interfacciarsi con situazioni cliniche spesso tortuose era uno degli obiettivi prefissati da questo studio per quanto riguarda la mia crescita personale e professionale.
L’aggiunta della pandemia ha ampliato tale condizione, suggerendomi ancor di più indizi su quanto il fattore ambientale e sociale possa essere protagonista nell’incentivare casi di GAD. Quello che ho notato, con mia grande sorpresa, quasi a fine studio, è stata una maggior consapevolezza ed interesse dei pazienti verso gli outcome somministrati al Follow Up. In molti casi i pazienti mi hanno avvertito di una possibile poca oggettività e disequilibrio nelle risposte date ai test del Follow Up. Questo a causa della sensazione timorosa e della sensazione di instabilità emotiva provata durante il lockdown attuato nella prima metà del 2020. Quello che apparentemente potrebbe sembrare una cosa assai banale da sottolineare, ha rappresentato per me un miglioramento essenziale. Analogamente a quanto specificato precedentemente circa la difficoltà espressa ad inizio percorso da alcuni pazienti nel riconoscere una determinata ed oggettiva condizione psico-somatica presente, l’aver ottenuto l’analisi lucida di quello che poteva comportare la situazione dettata dalla pandemia ha risaltato l’ampliata presa di coscienza e analisi sviluppata nel percorso. È importante trasmettere il concetto per cui l’efficacia terapeutica nostro lavoro non finisca ogni volta che il paziente esce dallo studio, ma deve aver garantita una continuità durante la sua quotidianità. Ed è questo uno degli aspetti che definisco “collaterali” di maggior portata, il poter dare degli elementi su cui sviluppare una riflessione continua su se stessi e sulla gestione della propria persona.
Come Chinesiologo associo moltissimo l’aspetto riabilitativo e propriocettivo dell’esercizio mirato con lo stimolo dato dal trattamento, al fine di rafforzarne il beneficio. Questo aspetto è stato messo in pratica attraverso l’esercitazione della riprogrammazione neuro-sensoriale (fig. 7). Il tutto viene tradotto nello specifico con la stimolazione cognitiva dell’area corticale cerebrale pre-motoria (area 6 di Brodmann). Attraverso esercizi precisi e incisivi al fine di instaurare nel sistema un’abitudine e uno schema motorio che possa essere funzionale ad una o più necessità fisiologiche, non ha determinato solo una migliore efficienza propriocettiva quotidiana, ma ha aiutato i pazienti a conoscere, ascoltare e rispettare meglio nell’interezza il proprio sistema corporeo. Analogamente a questo, la rilevanza dei consigli utili nel rispetto del proprio sistema per affrontare determinate situazioni quotidiane lavorative o abitudini da apprendere è stato un ottimo supporto da addizionare a quello già descritto nel lavoro neurosensoriale. Alcuni pazienti inoltre in prima visita si sono presentati in uno stato psico-fisico difensivo tale per cui mi è stato quasi impossibile approcciare manipolativamente qualsiasi struttura corporea di qualsiasi sistema. In questi casi, il passare l’intera seduta alla riscoperta dei sistemi vitali di base, come anche solo la respirazione, ha garantito comunque un cambio drastico nella concezione del paziente verso i propri sistemi e ha aiutato ad abbassare la condizione Ortosimpaticotonica in favore di quella Parasimpaticotonica, per poi poter eseguire il trattamento nella sua completezza in seconda seduta. Fondamentale per lo svolgimento del lavoro pratico non è stato solo il confronto con altre figure professionali, ma anche con colleghi osteopati più esperti, che hanno messo al servizio del mio lavoro le consocenze acquisite nel corso deli anni, sapendomi dare consigli utili su cui riflettere sia per la strutturazione dei Materiali e Metodi, che sulla realizzazione pratica dei miei trattamenti. Ed è una cosa che tutt’oggi ritengo importante per ogni osteopata. Avere la continua possibilità di ottenere un riscontro oggettivo da chi ha più anni di carriera e soprattutto il continuo aggiornamento e ricerca costituiscono un grande punto di forza di crescita, in virtù delle difficoltà che quotidianamente affrontiamo in studio. Molto spesso uno dei tormenti maggiori del terapista neofita è quello di trovarsi di fronte un caso clinico complicato e di difficile gestione, sia come rapporto professionale che come impostazione logica del razionale osteopatico, senza che la lucidità cali sensibilmente per dare troppo spazio, per rimanere in tema, all’ “ansia da prestazione” e alla mancanza di idee. Quindi sicuramente già da ora quello che mi sento di consigliare ai miei colleghi, ma soprattutto agli studenti prossimi a diventare miei colleghi è di complicarsi la vita e aspirare ad un progetto ambizioso per la vostra tesi!
Realizzare uno studio che possa prendere in considerazione qualcosa di nuovo e ostico, affacciarsi in realtà e argomenti che possono sembrare irrealizzabili per la gestione e lo studio del caso, sono convinto possa essere non solo un’esperienza importante di crescita, ma anche un eccellente biglietto da visita per la vostra figura professionale.

 

Fig. 7 – Esercizio di riprogrammazione neuro-sensoriale e posturale effettuato sia in studio che a domicilio dal paziente.

 

 

Pur mancando un gruppo placebo che avrebbe permesso di capire l’impatto della specificità rispetto al placebo, che idea ti sei fatto circa il peso dell’effetto placebo in questa categoria di pazienti?

È sicuramente incontestabile riconoscere un rilevante impatto dell’effetto placebo in disturbi psico-somatici come il GAD, il cui peso varia a seconda del tipo di personalità del paziente che si ha di fronte. Non vi era e non vi è dubbio circa l’utilità e l’efficacia dell’OMT svolto, basato su un ragionamento clinico razionale e scientificamente correlabile all’evidenza, sarebbe comunque erroneoe scorretto non sottolineare la forte influenza del placebo in tutte queste categorie di problematiche.
Coscienti però del fatto secondo cui la sintomatologia presa in esame è principalmente conseguente a quello che è una condizione neurologica e psicosomatica ben delineata, il confronto e la differenza tra la componente placebo e la componente emotiva poteva risultare su certi versi molto, molto sottile.
Vorrei quindi considerare l’effetto placebo come un elemento presente ma incompleto nel mio lavoro. Questo perché bisogna esaminare, almeno a mio avviso, quella linea sottile che ho appena citato, che dà spazio alla fortissima componente emotiva ed empatica che il terapista deve obbligatoriamente sviluppare nella gestione di questa problematica. Sarebbe estremamente sbagliato da parte mia dire che quella componente non fondi le basi di quello che deve essere parte dell’efficacia rilevabile del percorso terapeutico, e non mi riferisco solo per quanto riguarda il GAD. Prendendo in considerazione la continua comunicazione svolta con il paziente e realizzata in integrazione alla manipolazione, penso non si debba valutare in modo chiaro e distinto quello che è stato al 100% un effetto placebo nella sua integrità.
Purtroppo una valutazione del genere sarebbe stata possibile effettuarla non solo attraverso un trattamento placebo dal punto di vista manipolativo, quindi tramite l’assenza di intenzione e precisione nella ricerca della struttura da trattare, ma anche probabilmente tramite la mancanza o la forte restrizione e spersonalizzazione del dialogo tra gli interlocutori, in modo da intervenire il meno possibile su qualsiasi interazione empatica. Questo tipo di intervento sarebbe stato più plausibile, come hai detto tu, nell’istituzione di un gruppo controllo. Voglio però sottolineare assolutamente il mio intento nel non confondere l’aspetto comunicativo da me appena citato, svolto durante le sedute, come un’intenzione di trattamento a scopo psicoterapeutico. Sono stato estremamente specifico nel mio elaborato circa l’intento di valutare il beneficio dell’OMT come terapia complementare alla psicoterapia, nella multidisciplinarietà del percorso. È imperativo precisare come in questo studio rispetto al mio intervento terapeutico non sia stato preso in esame il disturbo d’Ansia nel suo aspetto puramente psicologico, elemento più strettamente di ambito psichiatrico e psicoterapeutico, nel rischio di sconfinare dal campo di appartenenza osteopatico. Quindi lungi da me qualsiasi intenzione di sostituirmi ad una figura professionale di cui non possiedo nessuna competenza e, di conseguenza, utilità ed efficacia terapeutica. La forma comunicativa espressa da parte mia ha evidenziando quello che è stato un lavoro realizzato tramite la delucidazione e la spiegazione teorica del meccanismo fisio-pato-genetico del disturbo e rispetto alla fisiologia e anatomia delle strutture corporee prese in esame dalla pratica del trattamento. E ovviamente attraverso tanto, tanto tanto ascolto del paziente.

 

 

La nostra collega Alice De Laurentiis l’anno scorso ha condiviso una riflessione su come i pazienti con ansia vedono l’osteopatia. Che ne pensi di quel che Alice ha riportato in quell’articolo?

Penso che sia davvero entusiasmante e coinvolgente vedere una collega che abbia preso così a cuore l’argomento e abbia messo a disposizione del lettore la sua esperienza attraverso la sua determinazione, i suoi successi e i suoi dubbi. Dall’analisi di questo articolo scritto da Alice si evince già da subito chiaramente quella che è una certezza rispetto all’analisi fisiopatologica del GAD, ovvero l’essenzialità della prevalenza nella componente ortosimpaticotonica, esacerbata dall’atteggiamento e dalla sintomatologia somatica e neuro-vegetativa riferita. L’innegabile condizione con cui la maggior parte dei pazienti si presenta a noi, rende necessaria la ricerca categorica attraverso il trattamento osteopatico di uno stimolo parasimpaticotonico, grazie al quale è possibile offrire al paziente la possibilità di saggiare e ambire ad un miglioramento oggettivo del proprio stato clinico. Non posso che condividere la visione secondo cui il paziente ansioso non gradisca l’approccio osteopatico alla problematica, avendo notato questo fattore nella maggior parte dei partecipanti alla mia tesi.  Purtroppo per la maggior parte delle volte l’inserimento all’interno del mio progetto non è stato visto come qualcosa di innovativo e differente, ma, citando le parole della mia collega, “intrusivo”. Come ho potuto condividere e constatare dall’esperienza di Alice, è fondamentale capire come il paziente che soffre di disturbi d’ansia, per quanto possa assumere una condotta di negazione nei confronti di se stesso, è consapevole di dover affacciarsi ad un percorso nuovo in cui sarà primario rivelare la sua sfera più intima e privata. Questo ovviamente non può che anticipare la difficoltà che abbiamo sempre incontrato noi osteopati e che spesso incontreremo nei confronti del GAD, ovvero il riuscire a superare quella barriera di scetticismo che aleggia verso l’efficacia della nostra professione rispetto alla problematica. Pur sconfinando con il tema, amplio ovviamente quest’ultimo concetto non solo alla sfera del disturbo d’ansia. Essendo il GAD codificato come un disturbo generante un comportamento fuori controllo, eccessivo e sproporzionato rispetto alla realtà dei fatti, questo dettaglio non può non prescindere da quella che è l’espressione pratica del lavoro osteopatico e funzionale. La manipolazione inevitabilmente provoca nel paziente questo tipo di reazione, conferendo stimoli che, una volta elaborati, nella quotidianità del paziente spesso vengono registrati come altamente importunanti, instaurando il dubbio che il trattamento possa aggravare determinate sintomatologie e risposte organiche. Consci dell’importanza che assume la continua necessità di gestione del controllo della situazione e di quanto questa percezione di vigilanza possa essere eccessivamente o anche solo finemente differente tra un soggetto e l’altro, mi è parso inizialmente poco gestibile, per quella che era la mia novizia esperienza, una gestione incondizionata e protocollata rispetto alla soggettività del paziente. Questo mi ha portato a determinare una gestione completamente eterogenea del mio lavoro all’interno delle sedute, pur rinunciando (con il rischio di limitare erroneamente la significatività statistica) ad una forma più sicura, collaudata e standardizzata di interazione. Sicuramente un protocollo ben definito avrebbe potuto facilitarmi l’approccio iniziale con il paziente ma, come giustamente ha sottolineato la collega in merito ad un confronto avvenuto con te, sarebbe stato erroneo e presuntuoso pretendere di gestire in modo programmato le reazioni incerte e indeterminabili tipiche del GAD. Proprio a causa di ciò, l’approccio realmente positivo al mio lavoro è stato espletato solamente verso la fine del percorso, quando il paziente stesso era ormai provvisto di un ampliato bagaglio esperienziale, sia teorico che pratico, che confermava a se stesso l’utilità e l’efficacia del percorso svolto, il tutto reso possibile grazie alla capacità acquisita nell’analizzare meglio le conseguenze fisiologiche del proprio sistema in presenza di stimoli differenti dal normale. Da sottolineare quanto sia stato importante per arrivare al beneficio ottenuto, riprendendo sempre i concetti espressi da Alice, permettere al paziente di elaborare strategie in modo totalmente personale al fine di ricercare il cambiamento desiderato nella qualità della propria vita, sempre però beneficiando degli input offerti dal terapista durante le sedute. Comprendo perfettamente il concetto che la collega ha espresso secondo cui il limitare la conversazione al minimo, essere concisi nell’anamnesi e dare maggiore spazio decisionale al paziente riguardo sulla strategia di intervento possa costituire quello che lei ha riscontrato come un esito positivo della terapia, nel rispetto della perseverante e coerente crescita della stimolazione parasimpatica. Come già sottolineato in precedenza, io ho adottato un atteggiamento comunicativo diverso, basato su un dialogo piuttosto costante, che mi ha aiutato personalmente a gestire al meglio, nonostante le difficoltà sempre insorgenti, l’aspetto empatico e l’analisi del caso clinico specifico del paziente che stavo trattando. Mi sento tuttavia estremamente interessato e stimolato dai consigli di Alice e sono fermamente convinto che la sperimentazione sia una delle maggiori forme per accrescere le mie capacità e conoscenze. Ad oggi, con tante consapevolezze in più e ancora infinite da acquisire, farò tesoro di questo suggerimento per saggiare una nuove strategia di intervento con i pazienti affetti da GAD. Infine, non posso che aderire totalmente alla visione del ruolo osteopatico come uno strumento estremamente delicato nella gestione dei pazienti con disturbi della sfera psicologica. Quello che risulta vitale, in vista anche dei grandissimi cambiamenti che adotterà l’Osteopatia negli anni a venire, è mantenere quella sincerità e semplicità che contraddistingue il nostro lavoro. Anche quando il nostro intervento non dovesse risultasse sufficiente nella sua singolarità, noi osteopati dobbiamo poter essere un chiaro supporto e un punto di riferimento per il miglioramento della qualità della vita del paziente, lavorando in stretta relazione con professionisti della salute con cui creare un sistema che possa ascoltare, apprezzare, rispettare e gestire il paziente in modo completo, attento e solerte.

Ultima domanda: che cosa faresti di diverso se potessi tornare indietro

Innanzitutto rimedierei a quelli che sono stati i limiti del mio studio, delineati dai risultati. L’esile numero dei partecipanti, 21 soggetti, non ha contribuito a determinare un’evidenza scientifica attendibile sotto ogni punto di vista, quindi sicuramente l’idea di ampliare il campione è una di quei fattori che andrebbero ad incidere positivamente sul risultato e sulla significatività statistica. È stato notato, grazie alle informazioni riferite dai pazienti in primo luogo e dagli psicoterapeuti, come l’osteopatia possa assumere nei confronti del GAD un importante ruolo di supporto alle terapie Gold Standard, specialmente in parallelo all’attività Psicoterapeutica. A seguito di quanto descritto, è ipotizzabile la necessità dei pazienti con GAD di godere di un approccio multidisciplinare in equipe, al fine di effettuare un lavoro terapeutico maggiormente efficace. Come già detto in precedenza i dati risultanti ci mettono di fronte al fatto, tuttavia, che per garantire un beneficio continuo al paziente sia necessario un percorso osteopatico continuo da non interrompere dopo 5 sessioni. Risulterebbe quindi necessario ampliare la durata del protocollo di studio, che personalmente amplierei tra i 6 e i 12 mesi, e di conseguenza il numero di sessioni da effettuare su ogni singolo paziente.
utilizzare outcome differenti e maggiormente specifici per meglio contestualizzare l’aspetto bio-psico-sociale e sintomatico, coinvolgendo anche delle figure psichiatriche oltre che psicoterapeutiche. Sarebbe interessante inoltre prendere in considerazione in futuro la possibilità di eseguire uno studio che valuti in modo specifico le possibili variazioni e modificazioni apportate alle somministrazioni delle terapie Gold Standard, specialmente farmacologiche ma anche rispetto al percorso psicoterapeutico, a favore dell’OMT, sul lungo periodo. La scelta di impostare uno studio sperimentale open lable è stata dettata dall’esigua presenza in letteratura di studi relativi a OMT e GAD. Nel marzo 2020, in pieno lockdown e a ridosso del completamento della stesura del mio elaborato, è stato pubblicato sul Journal of the American Osteopathic Association (JAOA) uno studio svolto da Dixon et al., riguardante proprio gli effetti dell’OMT sui pazienti affetti da GAD. Lo studio di Dixon et al., svolto anch’esso in modalità Open Lable, Black-Box e non randomizzata, ha preso in considerazione come outcome primario i risultati della scala HAM-A ottenuti su un campione di 26 soggetti tutti riceventi OMT su un totale di 5 sedute osteopatiche. Ne è derivata una riduzione significativa, in alcuni casi completa remissione, di più del 50% dei sintomi associati al GAD. Dixon et al. hanno specificato come l’OMT abbia contribuito a migliorare la condizione sintomatica cognitiva dei pazienti, agendo sulla relazione corpo-mente, con effetto sul SNC.
Sono rimasto piacevolmente colpito dall’affinità riscontrata con il mio studio, e mi ha confermato il fatto di aver compiuto delle buone scelte. Diventa però inevitabile prendere in considerazione l’idea di poter diversificare il lavoro effettuando uno studio randomizzato e controllato, considerando appieno l’idea di stimolare il più possibile l’effetto placebo e massimizzare la significatività statistica, attraverso la formazione di un gruppo caso ed uno controllo. L’ultimo cambiamento che avrei piacere di sperimentare ed aggiungere è stato accennato precedentemente. Sarei davvero curioso di associare all’OMT e alla psicoterapia anche un lavoro di tipo Chinesiologico. L’obiettivo sarebbe quindi quello di ampliare non solo il numero delle figure professionali coinvolte nello studio, ma anche la varietà di stimoli somministrati al fronte di un maggiore beneficio al GAD, portato dall’attività di riprogrammazione motoria neuro-sensoriale, attraverso sedute programmare all’interno dello protocollo, che possano essere ben disciplinate nelle tempistiche e supervisionate da professionisti qualificati, anziché farla svolgere principalmente a domicilio dai soli pazienti. Grazie del tuo tempo!

 


 

Ringrazio Massimiliano che si è reso disponibile a condividere molti aspetti della sua tesi. Se siete interessati vi ricordo che potete contattarlo a questo indirizzo mail maxzucchiosteopata@gmail.com. 

 

Noi ci ritroviamo fra due settimane con un’altra intervista per scoprire un’altra tesi di osteopatia!

 

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A cura di Giandomenico D’Alessandro

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