I sentimenti “come se” o “false rappresentazioni” con considerazioni cliniche.

SINTESI SEMPLICE DEL PENSIERO DI ANTONIO DAMASIO: PREPARAZIONE AI SUOI LIBRI – PARTE 5

Abbiamo detto che le emozioni sono stati corporei (omeostatici/allostatici), come delle “fotografie” della fisiologia corporea.  In effetti se abbiamo studiato l’interocezione possiamo dire che le emozioni sono delle fotografie interocettive. Esse vengono rappresentate nelle mappe di medio-basso livello gerarchico del nevrasse. Noi possiamo essere consapevoli delle emozioni solo quando esse salgono al rango di sentimenti. I sentimenti, quindi, sono delle rappresentazioni delle emozioni e vengono rappresentati ‘grazie a’ o ‘su’ mappe corporee di alto livello gerarchico, una di queste è l’insula.

Abbiamo parlato di mappe cerebrali. Diamo una definizione di ‘mappa’. Il cervello rappresenta il corpo come la mappa di una casa rappresenta la casa: una sorta di rappresentazione “punto a punto” o “zona a punto” del corpo (altrimenti la mappa dovrebbe essere grande quanto l’originale!). Ohw, la somiglianza con la mappa di una stanza finisce qui perché io la mappa della stanza la guardo, mentre la mappa del cervello fa parte di me, contribuisce a formare il mio “me”, il mio “sé”, il mio “giando”. Le mappe corporee sono organizzate somatotopicamente (o viscerotopicamente se stiamo parlando dei visceri). Esistono anche mappe tonotopiche (uditive) e visuotopiche (visive). Ci sono anche le mappe motorie, non solo quelle sensoriali. Anche nel midollo spinale ci sono le mappe, solo che la mappa del midollo spinale non può dare vita al sentimento perché è anatomicamente e funzionalmente di livello gerarchico troppo basso. Le mappe esistono a livello troncoencefalico, ipotalamico e anche nel cervelletto! Anche il talamo è organizzato somatotopicamente (cioè ha delle mappe). Ecco, in pratica le mappe del tronco-encefalo e dell’ipotalamo rappresentano il corpo ed ecco perchè si dice che le emozioni sono lì rappresentate. 

I sentimenti coscienti di quelle emozioni emergono grazie all’insula soprattutto anteriore. Vuol dire che nell’insula ci sono delle mappe sensoriali che rappresentano le informazioni corporee che sono inizialmente rappresentate a livello della mappe sensoriali medio-basse. Le mappe insulari sono complesse  architettonicamente (da un punto di vista istologico, o di micro-anatomia). Ovviamente non c’è solo l’insula anteriore ma per semplicità nominiamo solo quella: non dimentichiamo che ci sono dei veri e propri network di tante aree cerebrali che assolvono a determinate funzioni.

Lasciamolo dire elegantemente a Damasio:

“Per quanto riguarda la nostra mente cosciente, la fonte di conoscenza di ciò che ha luogo nel corpo è una sola: l’attività neurale presente, istante per istante, nelle regioni somatosensitive. 

Ma, adesso viene il bello, leggete qua:

Di conseguenza, qualsiasi interferenza con questo meccanismo può creare una falsa mappa di quanto sta accadendo nel corpo in un particolare momento” (pag 140).

in poche parole LE MAPPE POSSONO ESSERE FALSATE! Cioè si può fare in modo che le mappe rappresentino (momentaneamente) delle cose diverse. Quindi non corrisponde quello che viene rappresentato nelle mappe rispetto a quello che avviene nel corpo.

Insomma, con i giusti stimoli si può “hackerare” la mappa somatosentiva e ciò che ne consegue è una discrepanza tra il sentimento e l’emozione. Quindi mentre l’emozione è “A” il sentimento non è più “A” ma è “D”.

Aggiungiamo un pezzettino. In parte quel nuovo sentimento “D”, cioè quella nuova configurazione “D” può andare a cambiare l’emozione “A”. Si, esattamente il contrario del “flusso di Damasio” che vuole che ci sia prima la modifica nel corpo, poi emozioni troncoencefalica e poi sentimento corticale.

Proviamo a vederlo meglio: le aree cerebrali di più alto livello gerachico sono in grado di indurre dei cambiamenti nelle aree più basse del sistema nervoso centrale (tronco encefalo, amigdala poco e ipotalamo) seguendo un processo top-down. Ma le mappe delle aree inferiori continuano a ricevere informazioni dal corpo, dal basso seguendo un processo che dobbiamo chiamare bottom-up. Cosa succede adesso? Che le aree di medio-basso livello gerarchico che, ricordiamo, stanno ricevendo informazioni top-down dai centri più alti, possono andare a modificare la fisiologia corporea, quindi  l’emozione corporea (pensate all’attività del SNA, al sistema neuroendocrino e al sistema somato-motore e io ci metterei anche l’attività antidromica delle fibre c). Il controllo volontario (a cui Damasio lascia qualche spazio nel libro) che noi possiamo esercitare sul sentimento e quindi seguendo al contrario la via emozionale il corpo stesso, è un meccanismo che noi conosciamo tutti grazie al nome “new age” di ‘psicosomatica’. Sopporto poco questa parola perché viene usata con scarsa consapevolezza di questi meccanismi qui. Noi la possiamo ancora usare ma essendo consapevoli della fisiologia del cervello e della teoria delle emozioni. Io uso l’espressione “top-down” come sinonimo di “psicosomatica”. 

Lasciamolo sintetizzare, ancora una volta, a Damasio:

“Quindi le aree somatosensitive costituiscono una sorta di teatro, dove non solo possono essere rappresentati ed esibiti gli stati corporei reali, ma è possibile mettere in scena anche un vasto assortimento di stati corporei “falsi”: per esempio, stati corporei “come se”, stati corporei filtrati, e così via. Probabilmente, i comandi per produrre gli stati corporei “come se” provengono da numerose aree delle cortecce prefrontali” (pag 146).

Ci sono tante cose da dire e tante considerazione da fare. Anche in ambito clinico e osteopatico:
1) se vi piace questa fantastica possibilità della parte alta di modificare la parte bassa (il sentimento modifica l’emozione, psicosomatica, top-down… usate quello che volete , basta che abbiate capito il senso), occorre parlare del funzionamento “baysiano” del cervello. Il cervello funziona facendo previsioni sulle informazioni che gli stanno arrivando (dal corpo o dall’ambiente). La previsione non la fa perché il cervello è nostradamus. ‘Previsione’ nel senso che si basa sulla memoria di situazioni simili. Quando la previsione non corrisponde all’esito, il cervello ha 2 possibilità: (1) o cambia la previsione e significa che c’è stato un apprendimento, oppure (2) cerca di cambiare l’esito. Come? Andando a cambiare le informazioni in entrata. Si, ma come? Agendo direttamente sulla fonte dell’informazione (il corpo o l’ambiente), cioè quelle vie che ho nominato prima (sistema nervoso autonomo, neuroendocrino, somatomotore e flusso antidromico delle fibre c). Scriverò un articolo a riguardo perché ci permette di capire un sacco di cose sul cervello

2) Quali sono gli stimoli adeguati a far cambiare le mappe sensoriali? Qui entriamo nella psicologia, il motivo è semplice: quando si tratta di interagire direttamente con le aree alte (per via telocettiva, cioè vista e udito) si tratta di competenze dello psicologo.

[Poi possiamo pure discutere se noi dobbiamo o no sapere ‘ste cose o che in effetti con l’anamnesi e il placebo abbiamo in qualche modo a che fare con quelle aree, ma questa è un’altra storia].

Torniamo alla domanda: quali sono gli stimoli adeguati a far cambaire le mappe sensoriali? Occorrono informazioni significative, cioè che abbiano un “peso specifico”, in grado di influenzare quelle mappe. Sono sicuro che ognuno di voi avrà qualche idea a riguardo. Come dite? Ipnosi? Parole dello psicologo? Parole di un mentore? Vedere il biglietto della lotteria vincente? A me piace unire i pezzetti dei vari paradigmi e se ragiono da osteopata dove la mia specificità è quella osteopatica… beh.. sapete come chiamerò questa cosa: PLACEBO. Pensate a questa cosa: ho un danno corporeo (infiammazione di un tessuto corporeo) e quindi c’è l’emozione nocicezione (trasmissione dell’informazione del danno) con tutta una serie di adattamenti allostatici. Appena giunge ai piani alti emerge il sentimento dolore. Adesso, attenti: cosa accade quando incontriamo un medico, magari dotato di un carisma enorme, di grandissima empatia, di profonda sicurezza nei suoi mezzi, che serenamente e fermamente mi dice che starò meglio? SENTO MENO DOLORE O NON LO SENTO AFFATTO! Tradotto: sono cambiate le mappe somatosensitive del dolore, è cambiato come percepisco l’emozione dolore, è cambiato il sentimento.

Domanda: ma è cambiata la condizione periferica?

Risposta: dipende!

Consideriamo 0-100% l’intervallo di cambiamento della situazione periferica. Può cambiare “0” cioè non cambiare per nulla o può cambiare “100”, cioè del tutto. Per esempio se ho una frattura, io posso modificare al meglio le mappe somatosensitive ma è impensabile che ci possa essere un qualche cambiamento. Diversamente, se ho una tachicardia è molto probabile che cambi l’attività cardiaca fino a tornare alla normalità. Ovviamente occorre andare a vedere gli studi, occorre sperimentare nella pratica clinica… non ho le risposte.

3) Secondo me, l’approccio biopsicosociale (che prevede un gran uso, consapevole o meno, del placebo) modifica alla grande le aree somatosensitive. Da quelle aree emerge il sentimento dolore (ricordiamolo). Vabbè, io dico “dolore” perché il dolore è il principale motivo di consulto nella nostra pratica clinica. Ovviamente vale anche per tutti gli altri report sintomatologici del paziente.

Facciamo un esempio con la classica lombalgia. Viene una persona con lombalgia. Uno degli aspetti centrali del modello biopsicosociale è fargli sperimentare i movimenti che gli evocano dolore (es, flessione del busto) senza fargli sperimentare il dolore e questo è interessante perché fai “capire” alle mappe somatosensitive che è cambiata l’emozione. Poi gli si fa un po’ di pain education, cioè gli si spiega che il dolore che sente magari non dipende per forza dall’ernia (ah, qui ci sta una bella revisione sistematica a proposito che potete utilizzare per spiegare ai pazienti questo concetto) e così via.  Tutte queste cose cambiano, usando il paradigma di Damasio, il sentimento. Cioè cerchiamo di falsare le mappe somatosensitive! Ma cambia il corpo? Non sappiamo se cambiano in maniera cruciale il corpo.

Ma qui io sono critico: perché scomodare direttamente i sentimenti? Perchè non impegnarsi maggiormente da un punto di vista corporeo? Perché non affinare le capacità palpatorie per modificare direttamente il corpo e quindi l’emozione corporea e quindi (solo dopo) il sentimento dolore? Cioè: tratto il corpo, cambierà la rappresentazione del corpo nelle aree medio-basse e cambierà il sentimento dolore, seguendo la via bottom-up.

Lo ripeto: il modello biopsicosociale (che spesso ho visto essere SOLO psicosociale), mette al centro i sentimenti, poi (forse) le emozioni e il corpo. Attenzione: io non dico che non sia importante considerare la parte più telencefealica, i sentimenti insomma! Infatti sostengo che dovremmo sfruttrare il placebo! Io capisco che alla psiche/cervello/sè l’importante è togliere il dolore e “sti cazzi!” se non c’è stata la modifica fisica! Ma è come far reggere una casa su fondamenta poco solide: non ci meravigliamo se la casa cade. Non ci meravigliamo se il paziente avrà sempre bisogno di noi: non siamo stati in grado di cambiare l’aspetto corporeo/periferico e quindi l’emozione. Siamo stati bravissimi a cambiare la condizione mentale, il sentire, il sentimento, ma è probabile che durerà poco. E poi quello è un lavoro da psicologo. Mi fa strano dirlo perché io personalmente sto coltivando le competenze “placebiche” che mi stanno aiutando tantissimo nella clinica. Ma quando metto le mani sul paziente voglio essere un bravissimo osteopata che è in grado di comprendere quello che accade nel suo corpo e fare di tutto per modificare la condizione periferica supportando la sua salute. Una volta che ho dato il mio contributo dal corpo (“bottom-up”) sarà cambiata l’emozione è posso continuare a coccolare il paziente, a fare “pain education” a fargli sentire che il movimento non è più doloroso, ad aumentare la sua consapevolezza con un linguaggio evocativo mentre lo tocco (non sempre mentre faccio la tecnica, perché ho notato che distrae sia me che il paziente). Questa, a mio avviso, è integrazione. 

Hollis King ci ha raccontato che la mitica osteopata Viola Frymann era contraria all’ipnosi. Il motivo? “Roba del diavolo!!”. Ascoltando ‘sta cosa ho sorriso solo per mezzo secondo, perchè ho subito pensato al modello emozione/sentimento di Damasio. L’ipnosi cambia innanzitutto il sentire, cioè hackera o interferisce le mappe sensoriali dei piani alti del nevrasse creando delle “mappe ‘come se'” che per qualche istante sono “incoerenti” con le emozioni corporee che stanno provenendo dai piani bassi. In pratica l’ipnosi comincia a cambiare l’edificio omeostatico dai piani alti: si esatto… flusso top-down! Questo, se visto dalla prospettiva di un osteopata, è metaforicamente “diabolico”. Noi lavoriamo dal basso, dalle fondamenta, dal corpo che cambiando fisiologia cambierà emozioni e quindi sentimenti. Flusso bottom-up.

Certo… sappiamo che l’ipnosi è in grado (come mi hanno raccontato in prima persona alcuni pazienti) di modificare incredibilmente lo stato corporeo: in pratica tramite la via top-down si è modificato il corpo. E io sono contento perché si è mantenuta l’unità, perché si è raggiunto (mediante un’altra via) lo scopo. L’importante è cambiare in meglio il funzionamento dell’individuo, aiutandolo ad andare verso la salute. Però mi piace questo concetto di “ipnosi come diavoleria”, perchè mi fa ricordare ancora di più la mia specificità bottom-up (anche se la Fryammn, da fervente cattolica, forse pensava veramente al diavolo!)

La domanda è un’altra adesso: da dove deve partire la terapia in un determinato paziente con una determinata condizione clinica, con un determinato stato di salute? Dall’alto o dal basso? Oppure insieme? Oppure prima uno e poi l’altro? Chi prima, chi dopo? Come faccio a sapere prima cosa funzionerà meglio, così da non perdere tempo e non aggiungere frustrazioni (a me e al paziente)?

Ma questa è evidentemente un’altra storia.

Chiudiamo qui il viaggio in 5 puntate con il pensiero di Damasio (e alcune molto libere considerazioni) usando il suo paradigma presentato nei suoi primi 3 libri. Ma per fortuna Damasio ha scritto altri 2 libri. Li leggo e facciamo un altro viaggio, ok? Mica siamo fatti per stare fermi!

P.s. = queste le altre 4 puntate
 Puntata 1
 Puntata 2
 Puntata 3
 Puntata 4

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A cura di Giandomenico D’Alessandro

“Non è come pensi, è come senti!”. E se senti male?

SINTESI SEMPLICE DEL PENSIERO DI ANTONIO DAMASIO: PREPARAZIONE AI SUOI LIBRI – PARTE 4 

Una divagazione sul rapporto corpo-mente a partire dall’ipotesi del marker somatico di Damasio. 

 

“Non è come pensi, è come senti”.

Nella 3^ parte di questa rubrica avevamo nominato questa frase (più o meno famosa) in rapporto al marker somatico di Damasio. In breve: il corpo segnala (marca) i contenuti del pensiero con dei marker somatici emozionali, che solo per semplicità distinguiamo in “positivi” e “negativi”. In questo modo l’emozione suggerisce al pensiero razionale, mediante il sentire (i sentimenti) quale potrebbe essere la scelta più vantaggiosa. In questo senso avevamo già detto che se intendiamo “razionale” qualsiasi cosa “vantaggiosa” ecco che anche emozioni corporee e sentimenti, che marcano positivamente o negativamente una determinata scelta d’azione, possiamo definirli razionali.

 

Da clinico e appassionato di neuroscienze mi è sorta immediatamente una domanda:
Ci possiamo fidare sempre del sentire? In altra parole, il sentire è sempre giusto?

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Il vantaggio evoluzionistico dei sentimenti

SINTESI SEMPLICE DEL PENSIERO DI ANTONIO DAMASIO: PREPARAZIONE AI SUOI LIBRI – PARTE 3

Siamo arrivati al punto finale della comprensione della teoria di Damasio (ma non all’articolo finale). Dobbiamo capire in che modo emozioni e, soprattutto, i sentimenti sono nostri alleati per la sopravvivenza. Dobbiamo capire come è possibile che un “fatto privato” (come lo chiama Damasio) così mentale come un sentimento possa far parte della macchina omeostatica.

Questo il programma presentato nella parte zero:

– I livelli della macchina omeostatica
– Cos’è un’emozione
– Cos’è un sentimento (che emerge da un’emozione)
– Il ruolo strategico dei sentimenti nella sopravvivenza
– Sentimenti “come se” o “false rappresentazioni: una considerazione clinica

Nella parte 1 avevamo visto i primi due punti (quelli in arancione)
Nella parte 2 (verde chiaro) abbiamo visto cos’è un sentimento, definendolo la rappresentazione cosciente di un’emozione. Abbiamo anche detto che possiamo possiamo anche essere consapevoli di quel sentimento se facciamo attenzione. Avevamo detto che un’emozione è la rappresentazione dello stato fisiologico corporeo. Non solo le emozioni “famose” (rabbia, tristezza, paura, ecc). Dato che in ogni istante abbiamo un corpo, ogni istante abbiamo un emozione. Essa viene rappresentata ai “piani alti” dove diventa sentimento e noi ne siamo coscienti (con l’attenzione anche consapevoli).

La Natura lascia sopravvivere solo le funzioni utili. Quel che non è utile viene semplicemente abbandonato nel corso dell’evoluzione. E l’Homo Sapiens Sapiens ha una storia abbastanza lunga. Quindi ha avuto tutto il tempo di perdere una funzione superflua come i sentimenti se si fossero rivelati inutili. Spinto da questo interrogativo e osservando criticamente i risultati dei suoi esperimenti, Damasio ha cominciato a pensare quali vantaggi evolutivi i sentimenti potessero assicurare.

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